Per molto tempo, il termine “stakeholder” ha avuto un solo significato, quello di “terzo depositante” o di “depositario della posta in gioco”. La parola era usata per identificare i giocatori d’azzardo che scommettevano sull’esito di un incontro di boxe o di un combattimento tra cani, e che affidavano le loro scommesse a una terza parte, lo stakeholder, che le prendeva in deposito e poi ridistribuiva il bottino ai fortunati vincitori.
All’inizio degli anni ’60, i ricercatori della Stanford Research Institute adottarono questo termine obsoleto e gli diedero un nuovo significato: gli stakeholder furono definiti come “quei gruppi senza il cui sostegno l’organizzazione cesserebbe di esistere”.
La parola venne scelta soprattutto per la sua vicinanza fonetica, il suo effetto di risonanza con un altro termine: “shareholder”. Tutto questo per dire che non ci sono solo gli azionisti, ma che esiste anche tutto un gruppo di parti interessate che i dirigenti di una grande impresa quotata devono prendere in considerazione.
Sulla base delle riflessioni proposte dal gruppo di Stanford, alcuni giuristi ed economisti hanno sviluppato una visione dell’impresa basata sulla teoria degli stakeholder, che propone un approccio partecipativo all’organizzazione e alla strategia dell’impresa.
Gli stakeholder sono identificati come “individui o gruppi che dipendono dall’impresa per il raggiungimento dei loro obiettivi personali e dai quali l’impresa dipende per la sua esistenza”.
Un rinnovato interesse per questa teoria si è sviluppato all’inizio degli anni ’80 grazie all’analisi teorica condotta da Edward Freeman e David Reed, che in un articolo accademico di cui sono coautori, hanno proposto una definizione secondo la quale sono definite parti interessate: “qualsiasi gruppo o persona che può influenzare il raggiungimento degli obiettivi organizzativi o che è influenzato dal raggiungimento degli obiettivi organizzativi”.
Successivamente, altri autori hanno cercato di affinare il concetto di parte interessata e di identificare l’esatta natura della nozione di stakeholder; una nozione che non ha lo stesso significato per tutti gli autori che, nel corso degli ultimi decenni, si sono appassionati a questo tema.
La maggior parte di loro è tuttavia dell’avviso che la categoria delle parti interessate include i seguenti individui o gruppi di interesse: sindacati, dipendenti, comitati aziendali, investitori istituzionali, creditori, banche, fornitori, subappaltatori, clienti, consumatori, società civile, associazioni e fondazioni, cooperative, comunità scientifica, media, autorità locali, ONG, autorità amministrative, rappresentanti eletti, ambiente e generazioni future.
È nell’interesse dell’impresa stabilire delle relazioni con ognuna di queste parti interessate anche se talvolta i suoi interessi e quelli dei suoi azionisti possono essere in contraddizione con gli interessi espressi da questi gruppi di pressione. I dirigenti devono, quindi, sforzarsi di trovare il miglior equilibrio possibile tra l’optimum economico dell’impresa e l’optimum sociale, ambientale e societario ricercato dagli stakeholder
Questa variegata comunità di individui e gruppi di pressione che forma l’impresa contemporanea è guidata da una triplice volontà:
- Il perseguimento di un interesse comune tenendo conto delle preoccupazioni di ogni parte interessata
- La ricerca del lungo termine per garantire la continuità e la perennità dell’impresa
- La soddisfazione degli interessi individuali e quindi la massimizzazione del profitto.
Fin dall’inizio, la teoria degli stakeholder è sembrata essere dotata della forza di convinzione necessaria per opporsi all’idea dell’impresa basata sul principio della massimizzazione del valore degli azionisti. Ciò ha permesso ai dirigenti di integrare le preoccupazioni sociali e ambientali (RSI), economiche, legali, etiche e filantropiche nella gestione dell’impresa.
Infatti, la leva per integrare la RSI si basa sulla teoria degli stakeholder. Tuttavia, tale approccio è stato fortemente contestato da Milton Friedman, che in un articolo pubblicato sul New York Times nel 1970 ha affermato chiaramente che: “La responsabilità sociale dell’impresa è una e una sola: l’impresa deve perseguire la massimizzazione del profitto rispettando la legge e le regole fondamentali sancite dal suo statuto e dal suo codice etico”.
Nel tentativo di sostituire questo dogma, la teoria degli stakeholder ha cercato di dimostrare che i dirigenti hanno un ruolo, hanno degli obblighi e delle responsabilità che vanno al di là della considerazione degli interessi degli azionisti. Ed è la ragione per la quale, essi non possono evitare di trascurare tutte le questioni aventi un carattere politico, ma sono obbligati a includere i diritti e gli interessi delle parti interessate nella governance d’impresa.
In un mondo dominato dalla finanza, la teoria degli stakeholder è riuscita, senza dubbio, a focalizzare la strategia dell’impresa contemporanea sulle esigenze e preoccupazioni espresse dalle parti interessate (e a concentrare l’attenzione sulle questioni riguardanti: clima, condizioni di lavoro, tecnologia digitale, responsabilità sociale d’impresa (RSI), nuove tecnologie, diversità, generazioni future…), ma non è riuscita a imporsi né a proporre una nuova teoria dell’impresa che integri queste diverse dimensioni nel suo ambiente e modello organizzativo.
Contrariamente a quanto si possa pensare, la forma giuridica della società per azioni rimane il miglior strumento di investimento poiché ha dimostrato di essere capace di adattarsi a qualsiasi evoluzione legata alle dinamiche storiche del capitalismo.
La teoria degli stakeholder, invece, rimane una teoria incompleta ancora in fase di sviluppo. Inoltre, è segnata dalla mancanza di chiarezza di certi concetti (a cominciare proprio dalla nozione di stakeholder), da divergenze tra i vari autori, da vari problemi concettuali e operativi e dall’assenza di un quadro teorico che combini la RSI e la teoria degli stakeholder
Finora, la teoria degli stakeholder si è limitata a raccomandare ai dirigenti di tenere conto degli interessi espressi dalle parti interessate senza, però, proporre soluzioni concrete. Ogni impresa, in definitiva, è stata lasciata libera di prendere le misure necessarie, principalmente su base volontaria, per migliorare il processo decisionale in modo da tener conto, ove possibile, delle richieste e delle legittime aspettative espresse da ciascuna parte interessata.
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